Le domande dove e quando svolgere un percorso di Coaching rimandano a una questione tecnica molto importante: la definizione del setting.

Dove e quando svolgere un percorso di Coaching

La determinazione delle caratteristiche del setting è di esclusiva competenza del Coach.

Il Coach presidia la sessione, decide dove e quando svolgere gli incontri; è il Coach che stabilisce il proprio compenso.

La definizione del setting può essere soggetta a contrattazione con il cliente, per venire eventualmente incontro a particolari esigenze. Ma lʼultima parola, in tale ambito, è sempre del Coach.

Setting è un termine tecnico che qualsiasi psicologo, psicoterapeuta, psicanalista o counselor conosce. Gli psicanalisti furono i primi a teorizzare l’importanza del preservare la “inviolabilità” del setting. Tutte queste teorizzazioni nel corso dei decenni hanno subito profonde trasformazioni. In genere, le caratteristiche del setting possono essere soggette a estrema variabilità in relazione al particolare metodo di intervento che si usa o a seconda della specifica teoria di riferimento su cui poggia il metodo usato, e ciò è particolarmente vero nel caso del setting psicoterapeutico. Come ci insegnano Watzlawick e il gruppo di Palo Alto, “il contesto è matrice di significati”, ovverosia è il contesto in cui si instaura una relazione che ne qualifica la natura e il significato che i partecipanti attribuiscono alla relazione stessa.

Ne consegue che qualsiasi relazione, per essere realmente tale, richiede una precisa definizione del contesto, affinché ognuno sia nel luogo adatto allo svolgimento delle funzioni per le quali viene interpellato. Per “luogo” s’intende lo spazio/tempo che fa sì che possa essere gestita una relazione efficace, comprensibile e protetta da interruzioni. In particolari ambiti (come nelle relazioni di aiuto) questo luogo viene definito convenzionalmente “setting”.

Il Coaching, come sostenuto più volte, non è equiparabile a una relazione d’aiuto, ma è un processo che pur sempre si fonda su una relazione professionale tra due individui. Esso è basato su un metodo preciso che, per essere applicato al meglio, deve svolgersi in luoghi, in tempi e con modalità specifiche.

Nel Coaching l’improvvisazione non è contemplata e non si può concedere spazio a nessuna approssimazione.

Il Coaching offre margini di manovra decisamente ampi. Per esempio, può configurarsi come una relazione one-to-one nell’ambito di un setting che può prevedere incontri “dal vivo”, per esempio presso lo studio del Coach (o presso il domicilio del cliente, eventualità certamente meno ortodossa, ma che in certi casi può essere utile) oppure sessioni telefoniche oppure una combinazione tra queste diverse opzioni.

Ci sono Coach che sfruttano appieno le alternative messe a disposizione dalla moderna tecnologia, in particolare svolgendo sessioni di Coaching via mail oppure utilizzando mezzi di comunicazione online come Skype (opzioni, queste, impensabili per qualsivoglia tipologia di intervento psicoterapeutico).

Personalmente ritengo che qualsiasi mezzo messo a disposizione dalla odierna scienza tecnologica possa essere utile al processo di Coaching, purché venga usato con accortezza, nei tempi e nei modi più confacenti.

Altresì, non credo sia conveniente impostare un intero processo di Coaching su una relazione mediata dallʼesclusivo uso dei mezzi di comunicazione disponibili tramite Internet (mail, messenger, chat, ecc.) e questo per una serie di ragioni riconducibili a un unico, fondamentale aspetto. Ho sostenuto ripetutamente in questo vademecum che il Coaching si fonda su una relazione tra due (o più) persone; una relazione creativa, espressiva, coinvolgente dal punto di vista emotivo e cognitivo. Lo strumento principale attraverso cui si attua tale relazione è il linguaggio, più in generale la comunicazione, in tutti i suoi aspetti (verbale, paraverbale, non verbale). Nella relazione di Coaching attuata in una modalità vis-à-vis, il Coach e il cliente hanno la possibilità di sfruttare integralmente tutti i canali della comunicazione. Naturalmente, si auspica che il Professionista sia pienamente consapevole dellʼuso che ne fa e che riesca a sempre a gestire al meglio le sue competenze comunicative al fine di metterle al servizio del processo.

Ci sono sguardi che spronano più di qualsiasi discorso sulla motivazione; ci sono sorrisi che incoraggiano più di qualsiasi corso sull’autostima; una stretta di mano, un braccio intorno alle spalle a volte fanno più effetto di qualsiasi parola detta dal più grande degli oratori. Qualsiasi esperto di comunicazione sa quanto possano essere fugaci talvolta le parole e quanto, invece, possano essere potenti i gesti, il linguaggio del nostro corpo.

Una competenza basata sull’ascolto di se stessi… e dell’atro

Il Coach non si limita a parlare, anzi, parla il meno possibile, ma costantemente ascolta il proprio Cliente. L’ascolto, l’ho sostenuto con forza in precedenza, è parte integrante del processo di comunicazione.

Pensateci: “L’uomo impiega circa venti mesi per imparare a parlare, ma non gli basta una vita intera per imparare ad ascoltare”. Ascoltare non significa sentire ciò che dice il cliente mediante il semplice utilizzo dell’apposito organo dell’udito. Spesso si afferma di ascoltare laddove in realtà ci si limita a udire.

L’udire è un atto fisico, l’ascoltare è un’azione volontaria, intellettuale ed emotiva.
Chi ode riconosce i suoni, chi ascolta capisce, accoglie, comprende, rielabora ciò che è stato detto. Ma, finanche quando si comprende ciò che viene detto, lʼascolto potrebbe risultare inefficace. Ci avviene poiché nella maggioranza dei casi l’ascolto è selettivo, cioè si ascolta soltanto ci che si vuole ascoltare (e si capisce solo ciò che si vuole capire) attraverso un’azione di filtraggio del messaggio; tutto il resto, spesso, viene ignorato.

L’ascolto del Coach è un’azione “attiva” (volontaria) che richiede partecipazione (non per niente si parla di ascolto attivo o partecipato). L’ascolto attivo comporta ovviamente che si comprenda ciò che viene detto dal Cliente, in termini di fatti e idee (e, qualora non fosse comprensibile, fare domande per chiedere chiarimenti), capire altresì la finalità del messaggio e il significato emotivo di ciò di cui sta parlando il Cliente (astenendosi puntualmente dal fare interpretazioni!).

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